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“Guerra all’antisemitismo? Il panico morale come strumento di repressione politica” di Donatella Della

02-03-2025 09:58

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“Guerra all’antisemitismo? Il panico morale come strumento di repressione politica” di Donatella Della Porta. La presentazione alle Oblate di Firenze

Sala gremita nella Sala storica Dino Campana l'11 febbraio con la presenza dell'autrice, accademica dei Lincei, insieme a Tomaso Montanari e Tommaso Fattori

Con il contributo di Tomaso Montanari e Tommaso Fattori in data 11 Febbraio si è tenuta, presso la Sala storica Dino Campana della Biblioteca delle Oblate di Firenze, la presentazione del libro “Guerra all’antisemitismo? Il panico morale come strumento di repressione politica” della professoressa della Scuola Normale di Pisa, nonché accademica dei Lincei, Donatella Della Porta. Il libro edito da Altreconomia nel 2024 rilegge lo sviluppo della guerra che vede coinvolte Israele e Palestina attraverso una attenta analisi volta a considerare l’influenza di istituzioni e mass media che hanno preso di mira artisti, attivisti, intellettuali e studenti solidali con la Palestina, ebrei compresi, che hanno respinto e respingono la guerra.

La presentazione si è aperta, in una sala gremita, con una prefazione degli ospiti Tomaso Montanari, rettore dell'Università per stranieri di Siena, e Tommaso Fattori, già presidente della Commissione per le Politiche Europee e gli Affari Internazionali della Regione Toscana,  ed è stato proprio quest’ultimo ad aprire il dibattito con la sala gremita per ascoltare il dibattito.

Fattori ha inaugurato il suo intervento facendo un riferimento al tema della repressione politica e del diritto al dissenso come perno fondamentale per una democrazia. Durante la presentazione del libro egli si è riferito agli avvenimenti della settimana di distanza dalla conferenza di Trump e Netanyahu in cui le due potenze hanno annunciato il loro piano per Gaza prevedendo de facto l’allontanamento di 2 milioni di palestinesi e la successiva occupazione di quella parte di terra da parte di Israele e di “virtuosi” investitori internazionali, con riqualificazione a scopo turistico.  Un progetto irrealizzabile sotto il punto di vista democratico e in contrasto con i princìpi stessi del diritto internazionale ma considerato da Fattori molto grave anche solo a pensarlo a pochi giorni di distanza dal Giorno della Memoria. Per Fattori si è in presenza, con la proposta, di politiche di pulizia etnica e disprezzo per i cittadini, in forma di deriva morale dell’Occidente contemporaneo ad opera di protagonisti della scena geopolitica mondiale, noncuranti di accelerare una crisi etica che si assomma alla sofferenza planetaria in ambito economico, climatico, sanitario. Da qui Fattori ha spiegato come il libro in analisi non sia un testo sull’antisemitismo in sé ma sull’accusa di antisemitismo mossa verso persone che non sono antisemite essendo, anzi, in contrasto con ogni forma di razzismo. E questo avviene per mettere un marchio di infamia su chi ha denunciato i bombardamenti su Gaza da parte di Netanyahu e su chi ha solidarizzato con il popolo palestinese, diventando così un potente sistema per delegittimare e zittire le voci dissenzienti, con l’effetto di ridurre le libertà di espressione e di manifestazione, persino le libertà di ricerca nelle università. L'analisi del libro si è concentrata sulla Germania, individuandola come caso paradigmatico, in un più generale quadro con tratti comuni a tutta l’UE e agli USA, e ricorrendo alla categoria del panico morale: un concetto apparentemente oscuro ma fondato su una diffusa condizione di paura, costruita ad arte da alcuni soggetti, i cosiddetti “imprenditori morali”: giornalisti, politici, il sistema dei media tradizionali, il sistema dei partiti nel suo insieme, per far credere che la società sia minacciata nei valori fondamentali da alcuni gruppi di persone che sono da temere e da ostracizzare. Il panico morale è costruito dal presunto dilagare di un nuovo antisemitismo che si dice di Sinistra e di stampo arabo-musulmano, dove il pericolo è rappresentano da una parte da intellettuali progressisti e dall’altra dai migranti, che sono spesso bersaglio di atti razzisti di ogni genere, anche solo per il colore della pelle. I migranti vittime di razzismo vengono trasformati da vittime a colpevoli di un razzismo antisemita. L’aspetto fondamentale e di riflessione è che un numero di intellettuali bollati come antisemiti siano in realtà ebrei. Fattori ha rilevato nel libro l’individuazione di un metodo repressivo fondato, come in Germania, su meccanismi amministrativi specifici, nel tema della burocratizzazione, dove tedeschi bianchi e non ebrei marciano con infamante accusa di antisemitismo intellettuali ebrei, questo per escluderli e metterli fuori dal consenso e per negare loro, in casi estremi di esecrazione per posizioni anti-israeliane, addirittura una cattedra universitaria. Fattori ha esteso lo spettro d’analisi al senso di colpa della Germania sulla Shoah e allo svuotamento del significato della Shoah stessa attraverso l’uso improprio della parola antisemita da parte di una parte dell’opinione pubblica tedesca. Ad esser presi di mira non sono solamente intellettuali progressisti del Sud del mondo o intellettuali progressisti ebrei ma anche organizzazioni di ebrei per la pace. Nel pensiero espresso dall’ospite c’è una determinata definizione di antisemitismo da parte delle istituzioni tedesche che crea contrasti e dibattiti nel mondo accademico che si discosta dalle tradizionali definizioni di antisemitismo, dove si fa riferimento al pregiudizio nei confronti degli ebrei in quanto ebrei o delle istituzioni ebraiche in quanto tali. Vengono considerate antisemite le posizioni antisioniste, che pur sono presenti da sempre nel mondo ebraico con effetti retrospettivi. In base a questa definizione, sostiene Fattori, anche figure iconiche della cultura ebraica come Hannah Arendt sarebbero considerate antisemite. Qual è dunque l’obiettivo del panico morale e perché viene alimentato? Secondo Fattori l’autrice illustra bene nel libro, screditando quel panico morale attraverso posizioni legittime che nulla hanno a che vedere con l’antisemitismo: la semplice solidarietà con la popolazione palestinese, l’aver usato la parola ‘apartheid’ per definire la condizione degli arabi palestinesi in Cisgiordania, il ritenere che il massacro di 70-80 mila persone civili sia potenzialmente un genocidio (ipotesi presa in considerazione anche dalla Corte penale internazionale), l’essere favorevoli all’ipotesi di uno Stato costituzionale multireligioso o multietnico in alternativa a uno Stato etnonazionalista. Non è in questione l’essere o meno in accordo con queste o tutte le posizioni o con nessuna. Il punto è considerarle legittime e dunque il frutto di valutazioni politiche e etiche e non la base per accrescere antisemitismo o razzismo al fine di escludere queste posizioni discutendo delle libertà fondamentali e dell’essenza stessa della democrazia. Dunque, il quesito fondamentale è se esiste davvero l’antisemitismo? Secondo Fattori esiste, unitamente ad altre forme di razzismo. Qui egli stesso richiama il lavoro svolto dall’autrice riprendendo i dati ufficiali del Ministero degli Interni tedesco, mostrando come la narrazione del crescente antisemitismo a Sinistra e fra gli immigrati di origini araba sia in realtà contraddetta dalle statistiche, in quanto viene registrato un aumento degli attacchi antisemitici ma i dati della polizia li riconducono ad azioni di estrema Destra, dove i crimini di odio più diffuso sono quelli di razzismo contro gli immigrati. Il contrasto all’antisemitismo è un fondamentale obiettivo di civiltà che non si combatte reprimendo le manifestazioni di solidarietà della Palestina o impedendo ad esponenti a sostegno della lotta palestinese di prendere la parola, come nel caso di episodi che vedono coinvolte figure politiche e storiche come Nancy Fraser e Maša Gessen. Ma c’è un altro elemento di pericolosità sottolineato nel volume: malgrado si sia sempre mostrato con dati che l’antisemitismo in Germania (così come altri Paesi, compreso l'Italia) sia cresciuto in associazione al radicamento di partiti come AfD (Alternative für Deutschland) oggi persino cooptata nella cerchia del “bene” perché, assieme a partiti di estrema Destra si è allineata nel sostegno al governo di Netanyahu. L’autrice evidenzia nel libro lo strano mix di antisemitismo tradizionale unito a un esplicito sostegno a Israele, ovviamente in chiave anti-islamica contro l’Islam, nella convinzione che sia giusto creare delle nazioni etnicamente pure e non contaminate. La Germania ha mostrato queste tendenze in maniera estrema e che crescono in molti Paesi, dall’Italia agli USA dove, accennando a Trump, ci si riferisce ai suoi deliri complottistici e antisemiti in un rapporto strettissimo con Netanyahu al punto di proporre la deportazione forzata per motivi razziali di 2 milioni di persone. Le domande finali poste da Fattori agli ascoltatori sono centrali e mirate: come se ne esce da questa situazione? La guerra è, in realtà, un presunto antisemitismo che nasconde una forma di razzismo e che alimenta nello stesso tempo il vero antisemitismo? Come contrastiamo la repressione del dissenso di chi è in piazza a ripudiare la guerra per prospettive di pace in contrasto con il razzismo e contro lo scontro di civiltà? Come guardiamo al mondo dal punto di vista degli oppressi? Fattori dichiara di non avere risposte precise ma ritiene che davanti a questo quadro sia necessaria l’iniziativa e anche l’azione diretta, oltre che la disobbedienza civile. Egli ritiene che studi come quelli di Donatella Della Porta siano fondamentali per chi si occupa di pace e di antirazzismo. Per concludere egli ribadisce come sia importante una ricerca accademica in grado di aiutare in meglio questo mondo e tutti gli esseri umani considerati come unica razza biologicamente esistente. Sulla scorta di questa riflessione Fattori ha concluso il suo intervento lasciando la parola al professor Montanari.

Montanari ha cercato di mettere a disposizione strumenti di pensiero critico con il focus sulla democrazia e sul dissenso come forma di pensiero. Egli ha descritto il libro dell’autrice come un antidoto alle tossine sociali e politiche create dal panico morale dell’estrema Destra, un panico che allo stesso tempo crea un paradosso, morale e politico, dato che chi si impegna alla lotta al razzismo viene a sua volta etichettato come razzista e antisemita. Anche Montanari rimarca l’importanza della Germania all’interno del libro e la descrive come il laboratorio che contagia gran parte dei Paesi dell’Occidente e anche l’Italia stessa, attraverso una attenta analisi su quelli che sono i nodi concettuali dell’opera che legano la Germania con il resto dei Paesi: in primis la trasformazione strumentale del concetto stesso di “antisemitismo”, e l’eccezionalismo con cui in Germania si è voluta leggere e interpretare la Shoah e da cui ne è derivato un conflitto sui vari modi di intendere il genocidio anche tra i Paesi europei. Secondo Montanari c’è stata una tendenza progressiva a considerare la Shoah come male assoluto implicando in sé l’impossibilità di metterla in relazione con altri eventi della storia e quindi da commemorare come un unicum che non può avere relazione con nient’altro recidendo con altri legami e forme di sterminio e genocidio che continuano a costellare la storia dell’umanità. Da un lato, c’è questo dualismo tra eccezionalismo e sradicamento della Shoah dal contesto storico come trasformazione mitica e dall'altro lato l’istituzionalizzazione e la lotta contro l'antisemitismo che, una volta assunto dalle istituzioni, diventa una ritualizzazione difficile da comunicare e che quindi viene separato da ciò che chiamiamo “colonialismo”. Richiamando il concetto di genocidio l’argomento si proietta nuovamente al presente paragonando la Shoah al genocidio del popolo palestinese. Da qui ne deriva una interessante riflessione sul libro, e cioè che nell’istituzionalizzazione della lotta contro l'antisemitismo e nell’assolutizzazione dell’Olocausto c'è l’ennesimo riflesso dello sguardo e del pensiero coloniale auto centrico ed autoriferito dell'Occidente. Per Montanari non c’è dubbio che la Shoah sia una tragedia di assoluto rilievo nella storia europea ma si dimentica come nel resto del mondo ci siano stati fatti altrettanto più rilevanti che non vengono presi in considerazione allo stesso modo, tendendo a non guardare il resto del mondo perché lontano da quella visione autoriferita. Ciò non è la prova di una apertura al diverso ma una conferma del nostro narcisistico sguardo allo specchio: noi come Europa ci auto consideriamo il centro del mondo. Montanari riprende il discorso spostando l’attenzione su Israele e spiegando come sia predominante l'idea che Israele rappresenti tutto il mondo ebraico, e che non ci sia nient’altro se non gli ebrei e nessuna altra voce del mondo ebraico abbia diritto di essere ascoltata. E anche in questo c’è una postura neocoloniale perché non si accetta quella diversità ebraica che era al centro delle persecuzioni, cioè avere una doppia appartenenza con più lingue e culture che sradicava i nazionalismi ma che invece si concentra sulla trasformazione della tradizione ebraica in uno Stato nazione etnico che pratica apartheid e la teorizza fino alle drammatiche leggi volute da Netanyahu in cui si esplicita che Israele è lo Stato nazione degli ebrei e gli altri non hanno eguali diritti. Questo sviluppo del mondo ebraico ricade anche in Occidente ed in particolare in Germania, che resta al centro dell’opera, riflettendo sulle parole della cancelliera Angela Merkel che ha insistito spesso su come Germania e Israele siano legate dal ricordo della Shoah. Montanari qui ha rimarcato il concetto spiegando come Angela Merkel non faccia riferimento al mondo intero ma solo alla Germania, in quanto Paese in cui le parole esprimono un senso di colpa nei confronti della Storia. Questa ragione storica fa parte della ragion di Stato del Paese della Merkel. Ed è proprio da questa ragion di Stato che si fa riferimento al fatto che l’argomento è diventato talmente di rilevanza in Germania per l’identità tedesca, al punto che nella nuova legge sulla cittadinanza bisogna dichiarare la propria fede nel diritto a Israele ad esistere. Ed è qui che si condanna l’antisemitismo e l’antisionismo: Montanari sa che possono coincidere come antisemitismo e sionismo e cioè contro l’idea che Israele assumesse nel mondo ebraico un ruolo di leadership fino al punto di non poter usare la parola ‘genocidio’ se non offendendo la memoria ebraica osando associare le due tragedie storiche. Montanari ha infine concluso la sua presentazione invitando gli ascoltatori ad un’attenta riflessione e lasciando la parola all’autrice del libro Donatella Della Porta.

Parlando del suo libro, la professoressa Della Porta ha ritenuto importante soffermarsi su come in esso Lei ha inteso analizza ciò che succede quando l’antisemitismo viene interpretato come un'arma usata dalla Destra per attaccare la Sinistra che tradizionalmente è stata antirazzista. Quella di oggi, secondo Della Porta, è una lotta di razza. Una lotta in cui è presente una definizione di Occidente escludente un maggior numero di persone con radici sociali migranti a cui si vuol far intendere che possono essere fisicamente presenti nei nostri Paesi ma senza potersi realmente integrare. L’elemento importante per capire come si è definito questo antisemitismo radicale da Destra è comprendere il legame tra Israele e i suoi principali alleati occidentali tra cui l’America con Trump ma anche la Germania con il partito AfD e l'Italia con la Lega, diventati principali sostenitori di Israele perché quest’ultima permette, da un lato, di promuovere una pulizia etnica che Israele è quasi riuscita a completare e, dall’altro lato, di poter attaccare i migranti, visti come nemico interno a cui vengono negati i diritti di appartenenza. Questo è proprio ciò che la Destra Occidentale “invidia ad Israele”. Successivamente l’autrice ha affrontato il tema della Destra radicale come problema che si fonda all’interno della società e lo fa definendo il razzismo come una lotta d’élite. Qui Della Porta ha richiama il concetto, ben evocato da Fattori e Montanari, del panico morale proveniente dalla Germania dimostrando come lo stesso sia elitario, cioè riferito al mondo degli accademici, con basi solide provenienti dai giornali mainstream e che si amplia a tutti i partiti di Destra. Della Porta è arrivata ad affrontare il tema dell’identificazione della cosiddetta ‘identità europea’ come escludente rispetto a chi è parte di Noi europei ma che viene, in realtà, escluso. E lo fa attraverso un elemento politico che spiega come per combattere la Destra i partiti tendano per finire ad imitarla sempre di più. È una strategia sbagliata ma secondo l’autrice è sempre più un’identificazione profonda di partiti e istituzioni che sono bianche ed elitarie e che diventano essenza stessa di eventi che vengono letti in chiave razzista anche senza motivo. Durante l’ultima parte della presentazione del suo libro, Della Porta ha significativamente sottolineato come nella sua articolata ricerca, le vittime principali sono palestinesi ed ebrei antisionisti diventati il nemico principale di Israele perché rifiutano quelle definizioni sulla nuova legge di cittadinanza voluta da Netanyahu che prevede che Israele rappresenti tutti. E da qui che si fa riferimento allo slogan “Not in my name” portato avanti dagli ebrei antisionisti. Slogan legato a un conflitto sostenuto anche dalle nuove generazioni che sono sempre più riluttanti a farsi riconoscere nello Stato di Israele perché sentono di avere più identità nel più generale quadro di un universalismo ebraico. Prima di concludere il dibattito l’autrice si è riferita ancor più significativamente all’Italia nella quale, a suo avviso, persistono importanti spazi e tempi di resistenza e apertura al dibattito anche grazie al lavoro di intellettuali e cultura critica. Le conclusioni su cui Della Porta ha posto l’attenzione la hanno condotta a chiedersi e a sollecitare una riflessione sul da farsi e su quali sono le strade per invertire la rotta. L'autrice ha individuato come elemento importante, la capacità di preservare e moltiplicare arene aperte sul dibattito su ciò che sta succedendo, e su come, per evitare di silenziare il dibattito accademico, sia importante mantenere luoghi aperti per confrontarsi e capire attraverso quali meccanismi, anche nelle università, siano passati questi tentativi di silenziare studenti e docenti critici, nel più ampio quadro della sinistra intellettuale e politica. Non è lasciato al caso che sia proprio la libertà accademica ed extramurale da parte di studenti e docenti dell’università ad essere il perno centrale in grado di lasciare accesa la fiamma della resistenza in antitesi ad ogni forma di oppressione, parola che è risuonata nelle note conclusive come un appello generale all’impegno delle nuove generazioni sui temi richiamati nel suo libro.

 

Michele Carbotti per la rubrica Cultura Politica in @europolitiche.it 


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