Conversazione con il prof. Dario Noschese, docente presso l'Università La Sapienza di Roma in Progettazione europea e direttore di Europe Direct Città Metropolitana di Roma.
a cura di Alessandro Mauriello @europolitiche.it
1. Gentile professore che cos'è Europe Direct?
La rete di Centri di informazione Europe Direct della Commissione europea è presente in tutta Europa per svolgere un ruolo importante di collegamento diretto tra i territori locali e l'Unione Europea. Attraverso attività di informazione e coinvolgimento i centri Europe Direct favoriscono una migliore comprensione del funzionamento e delle responsabilità dell'UE e promuovono attivamente ed in modo continuativo la partecipazione dei cittadini allo scopo di rafforzarne il senso di responsabilità nei confronti del progetto europeo e sensibilizzarli sui vantaggi che l'UE offre loro quotidianamente. I centri Europe Direct contribuiscono inoltre a identificare quegli aspetti delle politiche europee che sono importanti per le comunità locali e a formulare messaggi e attività utili a soddisfare le esigenze del territorio, recependo anche le istanze dei cittadini che consentono di fornire un riscontro alle istituzioni dell'UE. La funzione principale è quindi quella di fungere da “antenna” e da “cassa di risonanza”. Dove le istituzioni dell’UE non riescono ad essere presenti il riferimento per il cittadino diventa il Centro Europe Direct più prossimo e viceversa.
2. Ci descriva la sua attività?
Come direttore del Centro Europe Direct Città Metropolitana di Roma la mia attività è quella di far sì che quanto detto in precedenza si realizzi. Il Centro è gestito da Progeu, associazione che ho fondato e che presiedo, e nel quotidiano informiamo i cittadini sulle questioni relative all’UE organizzando eventi, seminari, conferenze, dialoghi, sia online che offline, forniamo ai media e ai moltiplicatori locali informazioni e contenuti utili sulle politiche e le priorità dell’UE, segnaliamo alla Rappresentanza della Commissione
eventuali percezioni locali, relative a politiche o progetti attivati in loco ed entriamo in relazione con le scuole del territorio promuovendo il materiale didattico ufficiale dell’UE. A livello personale poi, come project manager e come docente universitario di Sapienza cerco di veicolare l’interesse verso le tematiche europee e la partecipazione alle attività del Centro negli ambienti accademici, fra i miei studenti e in tutte le progettualità e manifestazioni in cui sono chiamato ad intervenire. Ciò che mi piace sottolineare sempre è che il Centro è aperto a tutti e lo staff si impegna quotidianamente per portare a termine la mission che l’UE
ci ha assegnato e lo stesso posso dire di tutti gli altri Centri Europe Direct presenti sul territorio italiano ed europeo. Una rete che conta 45 centri in Italia e 450 in Europa fa capire quanto l’UE tenga al capillare raggiungimento e soddisfacimento di tutte le istanze provenienti dai cittadini e non solo. Un simile investimento di risorse e attenzioni dedicate dall’UE va valorizzato perché getta le basi e tasta il polso del futuro dell’UE e aggiungo, ci permette di pianificarlo e costruirlo insieme partendo dalla dimensione locale.
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3. Su fondi UE e PNRR in termini di progettazione qual e' il quadro complessivo italiano?
Il nostro paese ha una grande possibilità. Siamo di fronte al più grande finanziamento mai concesso e questo sarà un anno decisivo. Molto interessante è il meccanismo premiante della condizionalità. L’anno si è
concluso centrando tutte le scadenze. I 55 obiettivi di fine 2022 sono stati raggiunti e si aspetta la terza rata da 19 miliardi ma è necessario essere consapevoli che entro giugno ci sono 27 obiettivi che valgono 16
miliardi e ancora più impegnativo potrebbe essere il semestre successivo con 96 obiettivi per ulteriori 34 miliardi. Vero è che rispetto alla definizione iniziale molte cose sono cambiate nel concreto e come Italia è stata già ventilata una richiesta di modifica. L’Europa potrebbe venire incontro ad alcune richieste anche perché a voler cambiare i Piani nazionali sarebbero diversi Paesi e di fronte a circostanze definite dagli accordi UE “oggettive” si possono ottenere varianti agli investimenti, mentre molto più difficile, se non impossibile, è avere il via libera per eliminare o rinviare una riforma. Nel mentre, il tempo scorre e siamo in ritardo nella tabella di marcia della spesa, con Regioni e Comuni spesso in affanno ed i primi 12 obiettivi in scadenza già a marzo 2023.
4. A suo avviso come dovrebbe essere riformata la Politica di Coesione?
Non parlerei di riforma ma di aggiustamenti mirati finalizzati soprattutto al miglioramento della performance della nostra PA. Abbiamo parlato di PNRR e non possiamo non vedere similitudini e parallelismi nei meccanismi di governance attuativa legati alla Politica di coesione e quindi ai fondi strutturali e di investimento europeo. Questa prossimità deve far ipotizzare forme positive di contaminazione e collaborazione andando a lavorare proprio sulle carenze che il nostro Paese ha evidenziato nelle precedenti programmazioni. Criticità che quindi già conosciamo e che, sapendo cogliere l’opportunità offerta dal particolare momento storico e dalla dotazione finanziaria eccezionale, dobbiamo necessariamente superare.
Aspetto interessante e a mio modo di vedere molto funzionale è che il 2023 sarà l’anno delle competenze.
Per programmare e progettare in linea con il contesto mi concentrerei su questo. Siamo abituati a vedere l’Italia fanalino di coda nella spesa relativa alla dotazione finanziaria che l’UE mette a disposizione. La valutazione della performance a cui dovremo adeguarci dovrebbe portare ad investimenti su competenze di project management, di gestione, di monitoraggio, di rendicontazione e su competenze verticali specifiche
delle singole misure. Il rischio di non riuscire a rispettare i termini e le scadenze a causa di un gap di competenze è concreto e come ben sappiamo nostro Paese ha già sperimentato serie difficoltà nell’utilizzo
del volume di risorse assegnate nel corso delle precedenti programmazioni rivelando inefficienze nelle capacità progettuali e attuative che hanno condotto l'Italia in coda alla classifica degli Stati membri per capacità di assorbimento dei fondi.
La PA italiana è chiamata a risolvere una problematicità cronica che consiste proprio nella complicata reperibilità di personale qualificato a causa di procedure concorsuali che non consentono di verificare
competenze attitudinali e organizzative. Basti pensare che raramente un concorso pubblico prevede fra i requisiti il possesso della certificazione UNI 11648 recentemente attualizzata. Sicuramente un miglioramento
del dialogo fra privato e pubblico potrebbe apportare benefici attraverso percorsi di upskilling e reskilling.
Non va sottovalutato inoltre l’apporto che può arrivare dal terzo settore in tal senso. Anche qui la riforma che l’Italia a fatica sta portando avanti ha gettato le basi per forme di co-programmazione e co-progettazione
che la PA italiana fatica ancora a sperimentare. In sostanza abbiamo tutto e quello di cui l’Italia ha più bisogno è l’imparare a fare sistema favorendo la collaborazione ed il bilanciamento costruttivo degli assi portanti del sistema paese: la PA, le imprese ed il terzo settore. Questa è la riforma più importante ed è metodologica.