Intervista (*) ai professori Marco Buti (EUI) e Marcello Messori (Luiss) a cura della nostra Senior Analyst Silvana Paruolo
Silvana Paruolo – In un contesto caratterizzato da guerre (v. Medio Oriente e Ucraina-Russia) e – in un mondo già alla ricerca di un nuovo ordine - sta per arrivare l’uragano Trump. Che effetti potrà avere sull’Unione europea?
Marcello Messori
La UE è in una posizione istituzionalmente, politicamente ed economicamente fragile. I drammatici problemi geo-politici, che si addensano ai confini europei, hanno anche negativi impatti economici in quanto sanciscono l’obsolescenza di un modello produttivo – quale quello della UE – che ha affidato la propria crescita alla disponibilità di energia a basso costo e alle esportazioni nette in mercati internazionali multilaterali e che ha utilizzato tecnologie mature e sempre più lontane dalla frontiera tecnologica. Cambiare modello produttivo richiede scelte politico-istituzionali radicali e, in particolare, cessioni di sovranità nazionale in cambio del finanziamento e della produzione di beni pubblici centralizzati a livello europeo e in grado di attuare innovazioni e di salvaguardare il modello sociale della UE. Ciò è tanto più vero (ma anche più difficile) in un contesto internazionale conflittuale. Purtroppo, la carenza di leadership politica rende difficile l’attuazione di tali scelte. La UE avrebbe bisogno di tempo per definire strategie di lungo periodo e, nell’ambito di queste ultime, per selezionare priorità quali i primi passi per la sua transizione tecnologico-ambientale e per la sua difesa comune. Il rischio è che Trump cerchi di tradurre in pratica le sue distorsive promesse, colpendo la UE sia nelle sue attuali inefficienze economiche che in quelle istituzionali.
Marco Buti
Sempre in passato, quando la UE ha fatto balzi in avanti, c’è stato un allineamento fra Germania, Francia e Commissione europea. Si pensi al progetto 1992 per il completamento del mercato unico e il lancio dell’euro concepiti da Kohl, Mitterrand e Delors. O più vicina a noi, la risposta alla crisi pandemica con la creazione di Next Generation EU quando si realizzò una straordinaria convergenza fra tre protagonisti: Angela Merkel che, avendo deciso di non ripresentarsi come candidato cancelliere alle elezioni tedesche, poteva pensare alla storia piuttosto che alle beghe domestiche; Emmanuel Macron che aveva dinanzi a sé “un mandato e mezzo” come presidente francese; e Ursula von der Leyen, appena nominata presidente della Commissione con una ambiziosa agenda verde. Oggi, a fronte della sfida di Trump, manca tutto questo. La responsabilità cade direttamente sulle spalle dei vertici comunitari, von der Leyen e Costa. Vedremo se ne sono all’altezza.
Silvana Paruolo - L'ONU appare ormai ridotta all'irrilevanza, paralizzata dai veti è diventata teatro dello scontro tra i Paesi occidentali e il "Sud Globale", che trova il suo riferimento nei Brics (Pechino è stata abile nel gettare ponti verso il Sud globale). Il presidente Trump (che nel suo primo mandato ha privilegiato i rapporti bilaterali) - a differenza dell’Unione Europea - di certo non è amico del multilateralismo. E probabilmente uscirà di nuovo dall’Accordo di Parigi sulla lotta ai cambiamenti climatici. Del resto, l’Accordo Mercosur resta fermo per l’opposizione francese, e non solo. Il multilateralismo ha ancora un futuro? Saprà arginare pericolosi nazional-sovranismi, nazional- populismi, e ciechi protezionismi, e negazionismi?
Marco Buti
Resto convinto che il multilateralismo mostrerà di essere dalla parte giusta della storia. D’altra parte, la libertà degli scambi è nel DNA della UE: tipicamente, ci troviamo a nostro agio in giochi a somma positiva, mentre aborriamo dinamiche dove prevale la logica della forza che sappiamo sono giochi a somma zero o addirittura negativa. Penso che questo sia nell’interesse di una larga parte del mondo, in particolare di quello che chiamiamo il Sud Globale. Ma è oggi chiaro che la posizione tradizionale della UE di appoggio delle istituzioni multilaterali “senza se e senza ma”, non basta. Due ulteriori strade debbono essere perseguite. Primo, bisogna dimostrare che c’è una via pragmatica di affermare il multilateralismo in modo diverso, attraverso accordi bilaterali. In questo senso, la firma dell’accordo sul Mercosur è un segnale importante. Resta da vedere se è un messaggio alla nuova amministrazione americana, o semplicemente il perseguimento degli interessi della Germania, in attesa del nuovo probabile cancelliere CDU, Friedrich Merz. Secondo, sappiamo che l’apertura agli scambi, anche se la somma netta è positiva, ha effetti distributivi: crea dei vincitori e dei vinti. Non è più un equilibrio politico quello dell’Europa che liberalizza e lascia a livello nazionale la correzione delle conseguenze sociali. Una parte delle spiegazioni della crescita dei populismi sta proprio qui. In altri termini, si pone la questione di quelli che Marcello Messori ed io abbiamo chiamato i Beni Pubblici Europei Solidaristici (BPE-S), da affiancare ai Beni Pubblici Europei Innovativi (BPE-I).
Marcello Messori
Sono d’accordo con Marco Buti che non è concepibile un automatico riaffermarsi del multilateralismo. E’ invece necessario che la UE, nel suo stesso interesse, assuma iniziative che facciano compiere passi in tale direzione. Ciò significa che, pur se nell’ambito della sua indiscutibile collocazione occidentale, la UE non deve appiattirsi su posizioni solo conflittuali o solo neo-mercantiliste nei confronti della Cina. Inoltre, essa deve riconoscere il crescente ruolo del Sud globale e costruire ponti economico-sociali verso una parte almeno di quei paesi.
Sotto questo profilo, Come ha sottolineato Marco Buti e al di là dei dettagli, l’accordo Mercosur è un passo molto importante e positivo che va realizzato ed esteso. Sarebbe paradossale se, unendosi alla Francia, l’Italia cercasse di boicottarlo o di indebolirlo.
Silvana Paruolo - L’offerta di Beni Pubblici Europei resta quindi ancora la chiave di volta per favorire le indispensabili transizioni verde, digitale e sociale, e per un’Unione europea più’ forte nel mondo? Che fare per salvaguardare la nostra competitività, e i nostri valori e modello sociale? Anche alla luce dei Rapporti Letta e Draghi?
Marcello Messori
Le nostre precedenti risposte mostrano che l’offerta di Beni Pubblici Europei (BPE) è essenziale per dare effettiva attuazione ai Rapporti di Draghi e Letta e per non trasformarli in una lista di proposte a sé stanti tra cui scegliere in modo arbitrario e strumentale. Come ho già accennato, si tratta però di selezionare quei BPE che sappiano individuare traiettorie di innovazione tecnologica con basso impatto ambientale e che rafforzino il modello sociale europeo. Come ha menzionato Marco Buti, abbiamo così individuato due grandi tipologie di BPE: quelli innovativi (BPE-I) e quelli solidaristici (BPE-S). Per adeguare il modello produttivo europeo alle sfide tecnologico-ambientali, abbiamo bisogno di BPE-I. Questi beni comportano, però, ristrutturazioni di imprese e forti squilibri nel mercato del lavoro e nella società. Pertanto, essi vanno combinati con BPE-S che sono essenziali per assorbire tali squilibri minimizzandone i costi sociali e gli impatti distributivi.
Finanziare e produrre BPE significa, però, che ciascuno stato membro sia disposto a cedere una parte della sua sovranità. Combinare BPE-I e BPE-S richiede che i paesi della UE devono essere pronti a cooperare. Sfide davvero difficili nell’attuale quadro europeo e internazionale.
Marco Buti
L’agenda della transizione verde è chiaramente quella più a rischio nelle circostanze politiche attuali. Mentre si possono discutere i dettagli, sarebbe un errore grave abbandonare tale strategia proprio in un campo dove l’UE ha una capacità di leadership mondiale.
Ed un campo in cui le potenzialità di cooperazione con il Sud Globale e con la Cina nell’offerta di un bene pubblico globale quale la transizione climatica costituiscono un’altra opportunità di risposta all’offensiva trumpiana. Speriamo che il tavolo sull’automotive convocato dalla Presidente della Commissione sia un’opportunità per ribadire questo orizzonte strategico fornendo gli strumenti per uscire dalla “trappola delle tecnologie mature”. Ma per fare questo, bisogna allineare risorse europee, regolazione e governance. Troppo spesso in passato, difficoltà sul primo fronte hanno condotto ad una risposta tutta regolatoria e processi formali di coordinamento molto complicati. L’UE non può permettersi questo oggi.
Silvana Paruolo - Sulle pagine del 24 Ore - in una Lettera aperta ai Presidenti von der Leyen (Commissione Europea), Roberta Metsola (Parlamento europeo) e Antonio Costa (Consiglio Europeo) – avete scritto: “A fronte dell’instabilità geopolitica e dei conflitti ai confini europei è necessario declinare con lungimiranza i temi della sicurezza economica e militare in chiave accentrata dando concretezza ai principi della “autonomia strategica aperta”. Nelle circostanze attuali il gradualismo non può diventare né un metodo né, tantomeno un obiettivo (…). Nel passato le grandi svolte dell’UE sono state innescate da iniziative di leader nazionali, francesi e tedeschi, di concerto con le autorità europee. Oggi il compito spetta a voi”. Cosa dovrebbero/potrebbero fare?
Marco Buti
Nell’articolo che lei citava, abbiano gettato il cuore al di là dell’ostacolo, indicando sei priorità da perseguire urgentemente: (a) utilizzare le raccomandazioni di Draghi e Letta non à la carte, ma come tasselli di una strategia da assumere nella sua interezza; (b) avviare una politica industriale centrale basata su investimenti in BPE-I; (c) formare le risorse umane, nazionali e immigrate, per i processi di transizione ‘verde’ e digitale attraverso la produzione di BPE-S; (d) creare un fondo
comune per la difesa europea di 500 miliardi di euro, sulla base dell’articolo 122 del Trattato, finanziato da debito comune; (e) riproporre l’agenda ‘verde’ anche come base per rilanciare la leadership globale europea e aprire un negoziato con la Cina e il Sud del mondo; (f) favorire soluzioni innovative che permettano di superare il criterio dell’unanimità e dei connessi poteri di veto. Resta da individuare quale può essere il grimaldello per iniziare a realizzare questa agenda.
Ci è stato ricordato che Jean Monnet, a fronte di piani ambiziosi, chiedeva: “Qual’è il primo passo?”. Nelle circostanze attuali, penso che il primo passo sia la creazione di un fondo per la difesa europea. La minaccia dell’orso russo sta iniziando a sgretolare le resistenze ideologiche ad un ulteriore emissione di debito europeo. E la difesa comune è un tipico BPE che ha caratteristiche sia innovative che di solidarietà.
Marcello Messori
Vorrei aggiungere una sola considerazione alla risposta di Marco Buti. Per quanto abbia molta stima del Presidente del Consiglio europeo, non penso che gli attuali vertici degli stati membri siano in grado di assumere iniziative paragonabili a quelle di Merkel-Macron nel 2020 e tali da
realizzare le sei priorità appena ricordate; penso inoltre che, nell’ipotesi più ottimistica, gli attesi cambiamenti nei governi nazionali del prossimo anno possano rafforzare gli atteggiamenti pro-europei del Consiglio europeo ma non diano spazio a iniziative istituzionalmente ed economicamente innovative. Per giunta, i molti Commissari deboli della nuova Commissione non saranno in grado di invertire questa inerzia. Si tratta di brutte notizie. Per le ragioni già discusse, la prosperità interna e internazionale della UE richiede radicali innovazioni. Ecco perché abbiamo chiesto ai Presidenti delle tre istituzioni europee di rompere l’inerzia e assumere iniziative coraggiose. Gettare il cuore oltre l’ostacolo e puntare su queste iniziative è inevitabile se vogliamo riaffermare un ruolo importante della UE sul piano internazionale e una coesione interna all’area.
(*) L'intervista è pubblicata in simultanea sui portali Euroeconomie.it / Europolitiche.it