I processi decisionali dell'Unione Europea sul fronte della difesa sono accelerati dall'invasione russa dell'Ucraina e stanno stimolando un nuovo attivismo anche dei singoli governi nazionali e dei ministeri di riferimento.
La difesa comune resta un’idea alla base dell’integrazione europea. In questo quadro, l’acquisto di armi e rifornimenti bellici per l’Ucraina sotto assedio russo è la strategia adottata con fondi europei dalla Commissione Ue, così come si è evinto dall'annuncio del 27 febbraio della presidente Von der Leyen, dell'adozione dello strumento European Peace Facility con cui l'Unione finanzierà l'acquisto di materiale bellico.
Il governo Scholz in Germania ha deciso anch’esso di inviare armi e rifornimenti ed ha annunciato l'impegno a investire 100 miliardi di euro nelle sue forze armate, e spenderà ogni anno più del 2% del suo prodotto interno lordo per la difesa (nella foto: il ministero della difesa tedesco). Non accadeva dai tempi della Guerra Fredda. Sembra trascorsa un’era, a riascoltare il discorso al Bundestag del cancelliere Olaf Scholz di domenica scorsa, quando il successore di Angela Merkel ha annunciato l’impegno a superare il tetto del 2% richiesto dalla Nato. Un monito riecheggiato in Italia pochi giorni dopo, con la promessa a Montecitorio di Draghi di “investire nella difesa più di quanto abbiamo mai fatto finora”.
Si è aperto un ampio dibattito su queste strategie e questi investimenti e se siano una complicazione o un’opportunità per l’Unione.
Lo scenario di guerra sui confini orientali potrebbe offrire un nuovo quadro decisionale che accelleri i progressi verso una difesa comune in cui far confluire i contributi delle forze armate dei 27 paesi membri.
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