Andrea Donegà
Nasce a Como nel 1981. È stato Segretario Generale della FIM-CISL Lombardia attualmente è Direttore delle sedi Enaip di Lecco, Monticello Brianza e Morbegno, impegnato nella formazione dei giovani e in quella professionale. Laureato in Sociologia, ha vissuto numerose esperienze di volontariato con l’associazione Bambini in Romania negli orfanotrofi rumeni con i bambini abbandonati. È componente del Direttivo dell’Associazione Amici Casa della Carità, attivista di Son e sostenitore di NCO.
È cofondatore della rivista online passionelinguaggi.it.
L'intervista per Europolitiche.it è a cura di Alessandro Mauriello
Come il digitale sta cambiando formazione e lavoro?
Formazione e lavoro sono due facce dello stesso futuro, tanto intrecciate e interconnesse da non poter essere affrontate separatamente. Esse sono, tra l’altro, i comun denominatori dei tre cambiamenti epocali che stiamo vivendo: demografico, ambientale e tecnologico- digitale. Transizioni senza precedenti, peraltro collegate una con l’altra.
Come ne usciremo dipenderà in gran parte da noi, da quali politiche riusciremo a mettere in atto e da quanta responsabilità, individuale e collettiva, sapremo generare, ognuno per la parte che gli compete. Se consideriamo la complessità del contesto e la portata della sfida è necessario ripensare il nostro modo di apprendere, soprattutto collegato al lavoro, per reggere a queste trasformazioni mantenendo protagonismo e allargando benessere e opportunità. Sotto il fuoco di questi cambiamenti cova la brace di ulteriori disuguaglianze che potrebbero acuirsi in maniera irreparabile e ingiusta. È del tutto evidente, quindi, che il nostro sistema economico e sociale, dove hanno prosperato disuguaglianze intollerabili, non possa essere lo stesso terreno su cui costruire la riscossa collettiva. occorre cambiare campo di gioco e prospettiva. Servono risposte nuove a problemi inediti. Nel mondo del lavoro la risposta non può che essere lo sviluppo della formazione continua, che duri lungo tutta la vita lavorativa delle persone. Vuol dire prendere per mano le persone e accompagnarle per tutta la carriera professionale, rassicurandoli sulle montagne russe dei
continui cambiamenti che dovranno vivere, e che saranno sempre più veloci e pervasivi, diversamente dal passato in cui la carica formativa ricevuta a scuola, o nel periodo da “garzone”, assicurava la spinta sufficiente e necessaria per arrivare alla pensione. Ma se questa è una delle risposte, la premessa deve essere certamente la realizzazione delle pari opportunità, rimettendo quindi al centro una profonda battaglia affinché ognuno abbia il diritto di scattare dallo stesso punto a prescindere dalle condizioni familiari, di reddito, di condizione, di origine che, purtroppo, ancora oggi assegnano blocchi di partenza più o meno avanzati a seconda dello status ereditato: un modo per rendere attuato l’articolo 3 della nostra Costituzione. In una situazione del genere, senza uguaglianza di opportunità, è scontato non ci possa essere mai merito e meritocrazia, e nemmeno riconoscimento dei talenti, con una perdita collettiva inestimabile in termini di avanzamenti tecnologici, scientifici, economici.
L’istruzione e la scuola sono i terreni dove misurarsi su questa prospettiva e contrastare la lotteria della nascita, che assegna privilegi e punizioni senza meriti né colpe. Per Enaip è la pratica quotidiana, in una continua tessitura tra inclusione e una didattica di alto livello che viene riconosciuta dalle imprese. La transizione tecnologico-digitale sta cambiando profondamente il lavoro. Industria 4.0, automazione, digitalizzazione, intelligenza artificiale, stanno costruendo scenari inediti a cui la scuola è chiamata a dare una risposta per consentire agli studenti di cogliere le opportunità di lavoro che si stanno aprendo. Il grande vantaggio di Enaip è la capacità di rispondere ai cambiamenti grazie alla flessibilità di un programma scolastico capace di adattarsi alle evoluzioni tecnologiche in atto e alle richieste delle imprese. Certo, la tecnologia sta entrando anche della didattica e nella formazione ma, del resto, è sempre stato così: siamo passati dalla lavagna con i gessetti alle Lim e alle Flip. La differenza, oggi, è che è tutto molto più veloce. La pandemia, da questo punto di vista, ha accelerato l’utilizzo delle tecnologie nel lavoro e nella formazione scolastica se pensiamo, ad esempio, allo smart-working da una parte e alla didattica a distanza dall’altra, che hanno consentito di mantenere vive le imprese e di completare i programmi scolastici. Certo, il tutto è piovuto addosso senza aver avuto il tempo di organizzarsi e di formare docenti e alunni. Ora dobbiamo lavorare, e prepararci, affinché le tecnologie possano diventare strumenti integranti per la didattica. Computer, tablet, smartphone devono essere considerati fattori abilitanti della didattica che, oltre a essere d’aiuto ai ragazzi con fragilità, migliorino l’ingaggio cognitivo dei ragazzi e favoriscano la partecipazione a lezioni sempre più interattive dove gli alunni possano essere protagonisti e soggetti attivi della didattica. Qualcosa stiamo già sperimentando ma servirà guidare questo approccio con formazione e preparazione, sia per i docenti che per gli alunni, per massimizzare le opportunità e contenere i rischi che non bisogna negare o minimizzare bensì conoscere, accogliere e disinnescare. Del resto, sono tutti strumenti che le nostre ragazze e i nostri ragazzi dovranno utilizzare anche al lavoro dove sono già diventati indispensabili in quasi tutte le professioni anche in quelle che vengono definite “operaie” o “manuali”. La scuola non può fuggire il compito di educare i ragazzi a un utilizzo
consapevole delle tecnologie evidenziando pericoli e grandi potenzialità. Non basta, infatti, saper utilizzare Instagram o TikTok per pensare di avere abilità tecnologiche. Avere uno smartphone tra le mani e utilizzarlo nelle sue piene possibilità significa, ad esempio, poter fare una ricerca, cercare il significato di una parola fino a controllare strumenti di diagnostica meccanica, monitorare una catena di montaggio o fare interventi di manutenzione. Dietro, quindi, ci sono sempre pensiero, mente e intelligenza umana, fattori che sono sempre stati coltivati nelle scuole. Purtroppo, l’Istat nel rapporto del 22 giugno scorso fotografa un’Italia in cui poco meno della metà delle persone tra i 16 e i 74 anni ha competenze digitali almeno di base. Il divario con i diversi Paesi europei è piuttosto elevato e ci vede nelle ultime posizioni della graduatoria europea. Un gap che dobbiamo recuperare assolutamente per imboccare, come Paese, la via alta dell’innovazione, quella che si fonda sulla qualità della formazione e del lavoro, su ambienti sicuri, sulla possibilità di crescita professionale, sulla valorizzazione delle persone, evitando il rischio di scivolare, invece, dove la competizione viene giocata su bassi salari, scarsi investimenti e luoghi di lavoro insalubri. Ecco, noi ci candidiamo ad accompagnare i nostri ragazzi verso un futuro di felicità e opportunità.
Formazione e territorio quale link nella società ipercomplessa?
La società di oggi è ipercomplessa e iperconnessa. La scuola è un punto di osservazione molto interessante e privilegiato perché è il luogo dove si riesce ad “annusare” l’aria che tira, a capire dove tira il vento, inteso come aspettative, bisogni, paure dei ragazzi. Non posso fare a meno di pormi, quindi, alcune domande che non vogliono essere un giudizio
ma una riflessione utile a costruire interventi necessari che abbiano, sempre, l’obbiettivo del benessere dei ragazzi e di un futuro migliore per tutti. Ho la sensazione che viviamo intrappolati nel tempo dell’istante. Concentrati, come siamo, a vivere “l’adesso”, tutto ciò che ci si allontana, indietro e avanti, rischia di sbiadire o, peggio, sembra non esistere.
Questo ci pone davanti ad altre riflessioni: che rapporto possiamo avere col passato e, quindi, con la Memoria e con la nostra Storia? E, soprattutto, quale approccio abbiamo con il futuro? Ecco, se rimaniamo intrappolati nell’istante che viviamo, non c’è spazio per il futuro. Il futuro, semplicemente, non esiste. È forse questa una possibile chiave per
spiegare (in parte) il calo demografico e il disinteresse per la questione ambientale. I figli sono la nostra naturale proiezione nel futuro così come i nostri genitori, nonni e bisnonni sono il nostro legame con il passato. Se non vediamo il futuro, non ci sarà spazio per i figli.
E se non ci sarà spazio per i figli non ci sarà interesse per il futuro. Un perfetto circolo vizioso. Probabilmente, l’uso distorto delle tecnologie e la mancata educazione al loro corretto utilizzo hanno fatto diventare preponderanti gli utilizzi contraddittori e rischiosi. Inchiodandoci allo schermo, ci siamo inchiodati al tempo presente, isolandoci in una bolla.
Non solo. Evitando di generalizzare e banalizzare, sembra che tra i ragazzi (ma in gran parte anche tra gli adulti, e non è un caso…) sia sparita l’abitudine gustosa della lettura.
Lo scorrere velocemente lo schermo dello smartphone ci ha risucchiato la capacità di concentrazione che, ora, dura quanto il nostro pollice impiega a far “scrollare” le notizie sul telefonino. Tuttavia, il fatto che i nostri ragazzi non aprano un libro non è da derubricare alla mancanza di voglia o alla maggior attitudine a guardare un video su internet. Penso piuttosto che la lettura, così come l’abbiamo conosciuta negli anni passati, sia un qualcosa che non appartenga più al mondo dei ragazzi. È un corpo estraneo, un’abilità, una competenza, una passione che non appartiene a una società concentrata sul qui e ora.
D’altronde perché leggere, o scrivere, se ci sono le app o l’intelligenza artificiale a farlo per noi? Perché farlo se ci sono social network dove per comunicare basta una fotografia o un video? Ecco, progressivamente rischiamo di perdere la capacità di lettura e di scrittura con il conseguente venir meno di fantasia e creatività che sono gli ingredienti fondamentali per sviluppare il senso critico, necessario per essere cittadini responsabili. Un tema che, ovviamente, riguarda anche la democrazia che rischia di traballare sotto i colpi di una società che non riesce a creare pensiero, aprendo a scenari inquietanti. In Enaip lo stiamo già facendo, puntando sulla forza delle relazioni e sul rapporto con il territorio. Per questo costruiamo occasioni in cui i nostri studenti possano mettere le loro competenze al servizio del bene comune e della collettività. Momenti utili a sviluppare creatività e immaginazione, affinando il senso critico, caratteristica indispensabile per stare nella società a pieno titolo,
come dicevamo prima. Infatti, in Enaip i ragazzi del corso per meccanici e carrozzieri si impegnano nella riparazione delle ambulanze affidateci dalla Croce Rossa; le nostre estetiste si recano nelle case di cura per offrire alle ospiti trattamenti di benessere e manicure e lo stesso fanno con persone con fragilità psichica seguite da Associazioni del Terzo Settore con cui collaboriamo, oppure si cimentano nel truccare gli attori di compagnie teatrali; gli allievi del corso di bioedilizia hanno ristrutturato dei parchi giochi e i loro colleghi del corso per operatore agricolo hanno contribuito a valorizzare un parco naturale; i nostri futuri panificatori e pasticceri si misurano nella progettazione, e realizzazione, di prodotti legati alla storia del territorio per renderlo riconoscibile. Siamo un tassello del mosaico sociale-educante rappresentato dalla comunità in cui siamo inseriti e, quindi, le nostre porte sono sempre aperte alla cittadinanza, in una ricerca continua di reciproche contaminazioni capaci di vantaggi per tutti. Per questo organizziamo momenti culturali che possano rendere la scuola protagonista di crescita collettiva e riferimento di aggregazione per tutti coloro che hanno a cuore i giovani e il futuro del Paese.
La nostra è, quindi, una formazione professionale al servizio del territorio che si dispiega in tutta la sua forza anche nel collegamento con il tessuto produttivo. Un'attitudine che ci permette di avere tassi di occupazione, per i nostri ragazzi, superiori all'85%. La forza di una realtà come la nostra è quella di essere molto collegata al mondo del lavoro. Un rapporto che si articola su almeno tre livelli:
il primo prevede che i nostri docenti tecnici siano dei professionisti, con una loro attività, che hanno scelto liberamente di mettere tempo e competenze a disposizione dei ragazzi per insegnare loro il mestiere;
il secondo ci consente, tramite il forte legame con le imprese, di poter “curvare” i nostri percorsi formativi in base alle esigenze che ci arrivano dagli imprenditori. Un meccanismo win win che facilita l’ingresso dei giovani al lavoro e che soddisfa le richieste di competenze delle
aziende;
il terzo è il fatto che il nostro percorso didattico prevede parecchie ore di tirocinio: al secondo anno le ore di stage sono 300, ma possono anche superare le 400, mentre al terzo e quarto anno le ore salgono a 465, circa la metà del totale.
La nostra forza è quella di essere radicati sul territorio, di saperne leggere i bisogni e quindi di rispondere organizzando corsi adeguati. Il rapporto stretto con le aziende, e il loro riconoscimento, sono per noi una fondamentale certificazione di qualità dei nostri docenti, dei nostri percorsi formativi e dell’impegno che quotidianamente mettiamo nel costruire futuro. Centri come quelli di Enaip funzionano quanto più sono in grado di rispondere alle esigenze delle aziende e costruire opportunità per i giovani.
In quest'ottica il tema della formazione e dello sviluppo delle imprese è trasversale ed Enaip è in grado di coprire tutta la filiera, essendo anche accreditato per i servizi al lavoro.
Bisogna ragionare, anche qua, su più piani avendo chiaro l’obbiettivo di preparare per tempo le competenze che servono, attraverso il rapporto continuo con il mondo delle imprese, con i servizi e le istituzioni del territorio: nel breve periodo occorre collocare coloro che si trovano in panchina in attesa di una nuova occasione, utilizzando le opportunità delle politiche attive per colmare il gap tra domanda e offerta; nel medio periodo si devono “curvare” i percorsi formativi in funzione delle richieste del mercato locale, investendo sulla formazione continua una volta che i ragazzi, dalla scuola, sbarcano in azienda; nel lungo periodo, invece, dobbiamo studiare per capire per tempo quali lavori spariranno e quali invece nasceranno e, in funzione di questo, allineare tutta la filiera formativa, ognuno per la parte che gli compete, lavorando in rete che è, in definitiva, il valore aggiunto per superare le complessità.
Ecco perché è necessario puntare sulla valorizzazione del capitale umano e sulla tutela dell’occupabilità delle persone. Più si terranno agganciate le competenze delle persone alle traiettorie di sviluppo delle imprese, maggiore sarà la spinta per individui, aziende,
Paese e produttività. Sarebbe auspicabile, a tal proposito, realizzare un’anagrafe delle competenze funzionale a focalizzare gli interventi formativi sulle reali necessità dei territori e delle imprese e avere un quadro fedele delle professionalità presenti al lavoro e di quelle
da riallocare, colmando eventuali gap di competenze e incrociando domanda e offerta, fattore decisivo, e urgente, per evitare che le aziende muoiano per l’incapacità, o impossibilità, di reperire personale e competenze. La tecnologia può aiutare a raccogliere e analizzare l’enorme quantità di dati disponibili, che non vengono utilizzati, per monitorare il reale andamento delle competenze delle persone individuando, ad esempio, i talenti che non vengono valorizzati, il rischio di obsolescenza professionale o chi necessita di interventi formativi. Oggi, infatti, nessuno si occupa del ciclo di vita delle competenze del capitale umano che, invece, saranno il nuovo fattore di competitività delle imprese, senza le quali il lavoro non ha futuro.
Un vantaggio per tutti quelli che vogliono formare ragazzi che abbiano competenze più vicine possibili a quelle richieste dalle aziende, ben sapendo che le realtà produttive sono tante e diverse e che quindi dovremo affinarle sulle esigenze specifiche una volta che la persona avrà iniziato a lavorare. Abbiamo tutte le caratteristiche e competenze per poter essere di sostegno alle imprese anche in una seconda fase, aiutandole a leggere il loro fabbisogno formativo in funzione dell’organico, dell’organizzazione del lavoro e del mercato di riferimento. La Commissione Europea ha proclamato il 2023 “anno europeo delle competenze” e anche noi vogliamo fare la nostra parte per rendere la formazione un fattore abilitante al futuro. Abbiamo una grande rete di docenti e professionisti esperti che insegnano da noi materie tecniche, ma anche le soft skill oggi sempre più necessarie.
Aspetti fondamentali, questi, sia per quel che riguarda la formazione a scuola che per la formazione continua.
Enaip non si ferma, è una realtà in continuo movimento, capace di leggere i bisogni e gli scenari, costruendo risposte adeguate e innovative. Questa è la sua storia. Nell’ultimo periodo stiamo sviluppando corsi regionali Ifts, cioè di formazione superiore, che si può svolgere anche in apprendistato, a cui è possibile accedere se si è in possesso di un diploma di scuola superiore o dopo il quarto anno dei percorsi di istruzione e formazione professionale (IeFP). Si tratta di corsi da 1000 ore che permettono di ottenere il certificato di specializzazione tecnica superiore: un terzo avviene internamente all'Enaip e le restanti ore in azienda attraverso un contratto di apprendistato. Accanto a questi, Enaip è attiva anche sugli ITS che rispondono alle richieste di nuove ed elevate competenze tecniche e tecnologiche. Un percorso per accogliere sempre più ragazzi e accompagnarli in un futuro di opportunità che vogliamo realizzare con loro.
La transizione energetica come sta cambiando la vostra offerta formativa?
I dati pubblicati dal “Rapporto giovani 2023” dell’Istituto Toniolo ci spiega come i giovani siano interessati e abbiano voglia di impegnarsi sui temi legati all’ecologia e all’ambiente.
Anche i nostri corsi vanno in questa direzione visto che la scuola deve essere coerente non solo in rapporto con il lavoro ma, soprattutto, con le attese e le aspettative dei ragazzi.
Vogliamo mantenere un’attenzione costante alla crescita culturale dei nostri studenti che non può prescindere dall’importanza dei temi della sostenibilità. Questo anche perché le scelte che i giovani fanno oggi determineranno l’ambiente in cui dovranno vivere domani.
All’interno delle tre grandi transizioni che stiamo vivendo dobbiamo individuare le piste percorribili per fornire nuove competenze ai ragazzi. Da tempo stiamo ragionando sulle nuove filiere e sulle nuove figure professionali legate a queste tematiche fondamentali perché è in questa direzione che mercato e banche, con i loro investimenti, stanno
guardando. Certo, noi lo stiamo facendo spinti da ideali e valori che vogliamo trasmettere ai ragazzi ma chi non ci arriverà animato dalla passione lo farà certamente perché spinto dalla convenienza. È lì che si andrà e, quindi, bisogna essere pronti. A Morbegno abbiamo
attivato, da tempo, un corso innovativo per operatori della bioedilizia, incentrato su costruzioni edili sostenibili dal punto di vista ambientale ed energetico. Se poi pensiamo ai nostri corsi per operatori meccanici, da tempo abbiamo allargato il programma alla mobilità sostenibile: l’auto ibrida o elettrica richiederà sempre più competenze digitali anche sotto il
profilo della manutenzione e della diagnostica. Anche il corso per operatore del turismo, dello sport e del tempo libero, già partito a Lecco e che contiamo di avviare anche a Morbegno, va nella direzione di creare figure che sappiano valorizzare il territorio nella sua completezza e interdisciplinarità. Il corso per elettricisti sta sviluppando competenze legate al risparmio energetico e al fotovoltaico. Il tema della transizione energetica incrocia, quindi, la sostenibilità in senso ampio. Per questo sono utili e preziosi i progetti che stiamo seguendo contro lo spreco alimentare, sul riciclo dei materiali e sull’economia circolare, in collaborazione con imprese e istituzioni, per aiutare i ragazzi a diventare consapevoli della situazione e a giocare un ruolo da protagonisti.
Quale sguardo sull’Europa?
Innanzitutto, i nostri corsi sono riconosciuti a livello europeo. E questo si declina anche nella possibilità, che Enaip offre agli studenti del terzo e quarto anno, di vivere un mese di tirocinio formativo all’estero. Una grande opportunità, ripartita dopo lo stop imposto dalla pandemia, che aiuta i ragazzi ad aprire la mente e responsabilizzarsi al di fuori dei contesti abituali. Caratteristiche che serviranno loro nel lavoro e nel percorso di crescita come cittadini consapevoli.
I ragazzi sono di norma accompagnati da un professore e soggiornano ospiti di famiglie del posto o in strutture per giovani. Durante la settimana svolgono attività di tirocinio presso aziende del paese ospitante e, nei momenti liberi, sperimentano attività di svago e approfondimento culturale costruendo relazioni con i coetanei del luogo. I partecipanti
tornano entusiasti da queste esperienze, sia per l’aspetto lavorativo che per quello relazionale, raccontando come l’incontro con culture, abitudini e modi di lavorare differenti siano occasioni di arricchimento personali.
Enaip è una scuola sempre attenta alla crescita globale dei propri studenti. L’impegno principale è quello di affiancare le famiglie nel crescere ragazzi che siano, prima di tutto, cittadini responsabili e impegnati e, poi, anche brave lavoratrici e bravi lavoratori. Le esperienze di internazionalizzazione sono quindi l’occasione per arricchire il bagaglio culturale e alzare lo sguardo verso nuovi orizzonti, rendendo i giovani protagonisti nella costruzione del futuro che dovranno abitare.
Il rapporto con l’Europa si declina anche in altri modi. Ad esempio, come scuola ospitiamo studenti che provengono da altri Paesi e abbiamo momenti di scambio con altre scuole europee sui metodi di insegnamento, sulla certificazione delle competenze e sull’approccio al mondo del lavoro. Diciamo che siamo la dimostrazione di come la formazione sia la via per costruire l’Unione Europea.
So che hai da poco pubblicato “Don Colmegna: al centro dei margini” (Homeless Book), libro che ripercorre la storia di Don Virginio Colmegna. Una storia che, in un certo senso, richiama tutti questi temi…
Sì. Il libro, oltre a raccontare la storia di questa grandissima persona impegnata da sempre per gli ultimi, anche oggi a 78 anni e malato di Parkinson, rappresenta una ricerca sociologica e storica avendo sullo sfondo la storia di Milano e dell’Italia dagli anni Sessanta a oggi. Don Colmegna è protagonista di una stagione profetica, nella Chiesa e
nella società, che ha attraversato le vicende del nostro Paese: le migrazioni interne dal Mezzogiorno, le scuole popolari alla Bovisa e le 150 ore, le lotte per la casa e per una scuola democratica e partecipata, i Movimenti Studentesco e Operaio, la Politica e il Sindacato, il referendum sul divorzio e i preti operai, la deistituzionalizzazione e la deindustrializzazione, gli anni del Cardinal Martini e le cooperative realizzate a Sesto San Giovanni, il terrorismo e la riconciliazione, le nuove povertà e le prime immigrazioni, la Caritas e Scarp de’ Tenis, la Casa della Carità e SON - Speranza Oltre Noi - l’ultima follia di don Virginio. Un’Associazione, da lui presieduta, con cui ha realizzato un villaggio solidale ricavando, dalla ristrutturazione di una vecchia cascina, una foresteria per l’ospitalità e tre nuclei abitativi da destinare a famiglie, ciascuno con un appartamento attiguo e indipendente per ospitare il figlio fragile e accompagnarlo in un percorso di autonomia nel contesto di relazioni e amicizie interno al quartiere. Un ambiente, quindi, che possa sopravvivere ai genitori, rassicurati nel sapere che i loro figli non finiranno, un domani, in istituto, ma saranno sempre una responsabilità collettiva.
Una vicenda che ha saputo, anche, coinvolgere l’Italia intera come, ad esempio, con l’esperienza dei progetti di reciprocità tra la Caritas Ambrosiana e quella di Napoli capace di promuovere cooperative nel capoluogo campano e di custodire iniziative e impegni che uniscono le due regioni ancora oggi su sostenibilità e legalità.
La sua storia diventa quindi una meravigliosa storia collettiva raccontata da molti di coloro che lo hanno accompagnato per un pezzo di strada, persone semplici, giovani incontrati ai tempi dell’oratorio, sindacalisti, professori e intellettuali che hanno voluto condividere ricordi, sentimenti, pensieri e impegno, orgogliosi di aver preso parte a una storia collettiva fatta di intelligenze che si incontrano e riconoscono su un sentiero lastricato di comuni valori.
Quest’opera ci restituisce, dalla voce degli altri, quella figura di straordinario uomo di pensiero e azione che è don Virginio, fine tessitore di relazioni capace di non possedere mai nulla: caratteristica, questa, fondamentale per chi continua a immaginare futuro.
Negli anni in cui don Colmegna collaborava con l’Ufficio della Pastorale del Lavoro della Diocesi Ambrosiana, capitava che dovesse preparare gli interventi per il Cardinale Carlo Maria Martini. Ecco, alcuni sono di una attualità clamorosa. Nel gennaio dell’85 don Virginio scrisse il contributo che l’Arcivescovo lesse in occasione della Giornata della Solidarietà. In quel messaggio si denunciava, tra l’altro, la squilibrata distribuzione della
ricchezza e si evidenziavano le opportunità che le tecnologie potevano dare per una maggior umanizzazione del lavoro, l’importanza decisiva della formazione professionale e la necessità di una cultura nuova attorno al lavoro. Tutti temi ancora urgenti che, letti oggi, profumano di attualità e hanno il gusto della profezia per chi, come noi, è impegnato nella formazione professionale. Ecco è questo lo spirito che vogliamo conservare, stando in mezzo ai ragazzi e al territorio, capendo i bisogni e costruendo risposte che possano traguardare tutti verso orizzonti sereni, senza lasciare indietro nessuno.