Intervista di Alessandro Mauriello a Osvaldo Cammarota.
1. Come si declina lo sviluppo locale nell' epoca della transizione digitale/ ecologica?
La transizione presenta scenari incerti e non del tutto scontati. Verso dove? Nessuno lo sa.
Nel mentre eravamo ancora alle prese con i cambiamenti del passaggio di secolo (crollo del Muro di Berlino; globalizzazione dell’economia; unificazione europea; crisi del fordismo; ...), siamo stati interessati
da ulteriori e inediti eventi che attraversano la terra e i suoi abitanti. Sono intervenuti il Covid, i mutamenti climatici, l’incedere tumultuoso delle tecnologie di comunicazione, la prevalenza di un liberismo selvaggio che, dopo aver ridotto l’economia a finanza, sta contaminando le radici stesse della democrazia. Tutto questo - ed altro - ci obbliga a pensare e lavorare in uno scenario ancor più complesso, insanguinato anche da guerre che credevamo di non conoscere più.
L’insieme di questi cambiamenti incidono su economie, società, politiche, istituzioni e determinano le condizioni di vita delle persone fin dentro le dimensioni più piccole della Terra. I microcosmi (nell’accezione di Aldo Bonomi (1)) sono i luoghi fisici e sociali in cui ricercare tracce che possono dare corpo e senso al lavoro per il riequilibrio ambientale e sociale, senza il quale la Terra e i suoi abitanti sembrano destinati a soccombere.
Per questo trovo interessante osservare gli effetti dei mutamenti epocali e globali dal basso, dai territori, ma con memoria lunga e visione larga per non cadere nei localismi.
Partirei ragionando sugli equivoci tra le parole “crescita” e “sviluppo”. I mutamenti intervenuti ci hanno fatto capire che la crescita non è più sinonimo di sviluppo (se mai lo sia stato). Con le idee di sviluppo orientate al massimo profitto monetario, a crescere è stato l’inquinamento, la disoccupazione, gli squilibri sociali, ... insomma, si sono prodotti effetti esattamente opposti a quelli identificati negli anni ’90 come “Indici di sviluppo umano” (aspettativa di vita, istruzione, reddito procapite, parità di genere, partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, ... etc), ossia indicatori dello sviluppo nella sua più compiuta accezione e, comunque, non a scapito delle risorse umane e ambientali.
Lavorare per lo sviluppo umano porta inevitabilmente ad operare per accrescere le capacità di reagire ai cambiamenti arginando gli effetti più dannosi per i territori e le comunità che li abitano. Nel mondo contemporaneo, connesso e interdipendente, la sfida è ad integrarsi senza omologarsi, ovvero, cogliere il valore aggiunto che può derivare dalla integrazione delle diversità, dalle opportunità offerte dalla globalizzazione e dalle moderne tecnologie; il problema è arginare squilibri e contraddizioni che derivano dalla concentrazione del potere finanziario, mediatico e politico.
C’è da considerare seriamente che gli argini costruiti nel ‘900 sono stati ampiamente travalicati. Il liberismo selvaggio ha gradualmente modificato il pensiero politico e l’azione delle grandi agenzie
di rappresentanza di interessi generali e collettivi. La riprova sta nella crisi delle rappresentanze, nel travaglio che attraversa le democrazie rappresentative del mondo occidentale.
Un neoliberismo ammantato di modernità ha fatto credere in una globalizzazione dolce. Così non è stato, il capitalismo finanziario ha messo il turbo e hanno preso il sopravvento le dinamiche di
sviluppo orientate al massimo profitto monetario, fondate sullo sfruttamento intensivo di risorse ambientali e umane, sul controllo delle coscienze. Sebbene questo modello di sviluppo si stia dimostrando palesemente inadeguato e dannoso per la Terra e l’Umanità, il mito della “crescita” continua a creare illusioni e ad alimentare culture individualiste, egoiste, sovraniste-nazionaliste a diverse scale.
A ben guardare, dalla stessa matrice del localismo e del liberismo selvaggio, genera sia la proposta di Autonomia Differenziata, sia quel vento di nazionalismo guerrafondaio che soffia negli Stati Uniti
e in Europa, incurante dei disastri causati in passato.
Un diverso modello di sviluppo è possibile ed è quanto mai urgente implementarlo, ma sarebbe illusorio pensare di creare isole felici in un contesto ostile in campo economico, sociale e politico.
Ci sono ritardi decennali da superare; non bastano le analisi e le pur illuminate intuizioni teoriche che ispirano le politiche comunitarie di coesione e sviluppo.
2. Sul tema sviluppo come giudica l'attuale Pnrr sul sud?
Mi pare che il PNRR non dia risposte del tutto convincenti alla domanda di sviluppo sostenibile, inclusivo, resiliente, fondato sulla conoscenza, ... che sale “dal basso” e che la stessa Unione europea si prefigge. Per questi obiettivi servirebbe una programmazione fortemente improntata al principio di integrazione. Specialmente nel Mezzogiorno, serve fare integrazione “orizzontale” tra risorse diffuse nei territori e “verticale” tra i microcosmi e le dimensioni territoriali a scala sovralocale.
Osservo che nella concreta attuazione del programma, prevalgono culture finanziarie e tecniciste, settoriali e particolaristiche; l’opposto di quel che servirebbe.
Ma anche su questo è forse utile attivare la memoria lunga, almeno degli ultimi quarant’anni. Nel passaggio di secolo si stava lavorando ad “Azioni locali per lo sviluppo globale”. Con i Patti Territoriali si è provato a portare le ragioni dei Territori e delle Comunità nelle dinamiche della
globalizzazione; una cultura operativa alimentata con la Partecipazione diretta della società alla ricerca di risposte alla domanda di innovazione (economica, sociale, politica e istituzionale) necessaria per affrontare i problemi inediti, interrelati e complessi del nostro tempo.
Inutile esprimere qui il rammarico per gli ostracismi incontrati sul campo, proprio da quelle forze da cui ci si aspettava maggiore attenzione. È preferibile cogliere la valenza di quella cultura operativa, ancor più oggi, nella situazione creatasi con gli ulteriori cambiamenti accennati in premessa.
In quegli anni capimmo le ragioni per cui lo sviluppo “dall’alto non atterra e dal basso non decolla”. Perché, in mezzo, quegli “argini” che facevano intermediazione tra elìte e popolo sono stati pervasi da quelle idee di crescita che hanno accentuato squilibri e ingiustizie.
Qualcuno dice che i “soggetti-argine” si siano omologati o addormentati. In effetti sono crollati, simbolicamente insieme al Muro di Berlino. E non vi è stata sufficiente cura nel trattare le macerie.
Comunque sia, oggi, ci troviamo a doverle trattare, sapendo che ogni nostalgia è fuori luogo; quegli equilibri che per quanto precari si erano stabiliti tra le potenze mondiali e dentro le società - tra culture “liberiste” e culture “socialiste” -, sono palesemente scompensati nel mondo di oggi.
Tornando al PNRR, non volendomi qui addentrare in più approfondite valutazioni, mi limito a rappresentare la netta sensazione che la vistosa massa di denari del PNRR sia il materasso, il cuscino e la coperta per indurre a continuare a dormire sonni tranquilli, a mantenere bassi gli “argini”. I principi e gli obiettivi del fare coesione e fare integrazione sono rimasti fuori dai radar, anche se, almeno per ora, restano ancora principi fondanti nell’orizzonte del processo di unificazione europea.
Può sembrare banale ricordarlo, ma la coesione e l’integrazione si realizza costruendo legami di cooperazione e collaborazione, orizzontali nei territori e verticali, nella filiera istituzionale e con il resto del mondo. Rimane attuale e contingente il pensiero per la costruzione sociale dello sviluppo.
3. Ci può parlare della figura di Ceriani Sebregondi?
Il pensiero e l’opera di Giorgio Ceriani Sebregondi sono un caposaldo per la costruzione sociale dello sviluppo e per la corretta integrazione del paese nel processo di unificazione europea e nelle relazioni internazionali. Colpisce la sua contestuale attenzione sulle dinamiche sociali ed economiche dal locale al globale e viceversa, ben oltre approcci tecnicisti ed economicisti. Sarebbe riduttivo e impossibile trattarne in breve. È consigliabile rileggere e studiare il suo pensiero,
condensato in una recente ri-pubblicazione curata dalla Fondazione con il Sud. (2)
La validità di quelle idee si è dimostrata sul campo, ad esempio nelle opere dei Danilo Dolci, Ubaldo Scassellati che possiamo ben considerare i “prototipi” degli operatori di comunità.
Negli anni successivi - quelli dei mutamenti avvenuti a cavallo di secolo - quel filo di ragionamento è stato ripreso da Giuseppe De Rita e Aldo Bonomi, proprio con quei Patti territoriali a cui si accennava
in precedenza. Nel medesimo filone culturale e operativo si innerva l’opera di Carlo Borgomeo, prima per promuovere l’Imprenditoria Giovanile, poi con le iniziative della Fondazione con il Sud.
La validità di queste culture operative si ritrova oggi nel lavoro di tanti figli e nipoti di quei primigeni operatori di comunità, ma sul campo si trovano ancora le “macerie”: un muro di gomma costituito da idee, approcci culturali, apparati, politiche e sistemi amministrativi ancora radicati nel ‘900. (3)
Queste idee e queste persone hanno prodotto un patrimonio intergenerazionale di passioni, saperi maturati sul campo, relazioni che un tempo abbiamo definito enfaticamente il Popolo dei Patti.
Con i cambiamenti intervenuti, questo “popolo” si interroga continuamente su:
COME ridare più rappresentanza e meno rappresentazione alle istanze di territori e comunità?
COME costruire coesione nella società frammentata e vulnerabile, definita liquida da Bauman?
COME vivere la globalizzazione evitando che i flussi omologanti distruggano le risorse dei luoghi?
COME si può FARE l’integrazione che serve e contrastare la crescita senza sviluppo?
Il lavoro per lo sviluppo territoriale si declina in una continua ricerca-azione per corrispondere a queste e ad altre domande, sapendo che ciascun microcosmo ha una storia a sé. Pur vivendo analoghi problemi, i microcosmi sono ambienti complessi che presentano caratteristiche diverse (naturali, sociali, economiche, produttive, culturali, antropologiche, ...) e proprio in queste peculiari
complessità vanno ricercate le risorse e le energie per reagire ai cambiamenti. In questo senso i microcosmi territoriali assumono rilevanza primaria, ma con la consapevolezza sui limiti di ogni
visione localistica, settoriale o particolaristica. Sebbene i territori siano composti da tanti luoghi, nessuna frazione della Terra, regione o Stato che sia, può pensare al suo sviluppo ignorando lo scenario sommariamente richiamato in precedenza. Dentro i Sud, come dentro i Nord, le diversità sono valori che vanno integrati in politiche locali, nazionali ed europee, non cristallizzati nei loro localismi e meno che mai in autonomie che non sono autonome.
Per fare questo serve l’apporto del Capitale Umano che caratterizza le identità, le aspirazioni e le vocazioni di sviluppo di ciascuna area del paese. Serve che il Capitale Umano si organizzi in Capitale
Sociale, con le motivazioni ben sintetizzate nella pubblicazione di Carlo Borgomeo (4)
Lo sviluppo - se lo si vuole “umano” - deve necessariamente alimentarsi delle reti corte della coesione locale e delle reti lunghe di connessione con le società e le economie sovralocali e globali.
Queste idee sono ancora minoritarie, ma sfido chiunque a tacciarle di minorità nella situazione che attualmente vivono i territori e le comunità. E per questo vale la pena coltivarle e svilupparle.
Alcuni suggerimenti per maggiori approfondimenti
1) A. Bonomi – Rubrica su il Sole 24 Ore e le pubblicazioni (a cura di)
Oltre le mura dell’Impresa - 2021; Sul confine del margine. Tracce di comunità in itinere -2024 - DeriveApprodi;
2) G.C. Sebregondi – Sullo sviluppo della società italiana – Donzelli Editore 2021
2) O. Cammarota - https://www.politicameridionalista.com/2021/01/08/il-sistema-pubblico-del-900-predica-coesione-e-produce-dispersione/
4) C. Borgomeo – SUD il capitale che serve – Piccola biblioteca per un parse normale - Vita e pensiero.
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Osvaldo Cammarota è nato a Posillipo il 1955, esercita la libera professione di Operatore di coesione e sviluppo territoriale. Studia per integrare e valorizzare risorse materiali e immateriali per lo sviluppo socioeconomico con approcci e strategie di tipo sistemico-evolutivo. Si è formato applicando tali strategie, prima per promuovere il Patto territoriale del Miglio d’oro (’95-’99), poi per attuarle, con il ruolo di AD del PTO Area Nord-Est Napoli / Agenzia Città del fare (’99-2011). Collabora con associazioni, istituzioni, università e centri di ricerca in attività di ricerca e sviluppo, formazione, accompagnamento all’attuazione; trasferisce le esperienze di campo anche con pubblicazioni su giornali e riviste interessate. È coordinatore dell’Associazione BRI - Banca Risorse Immateriali. Conserva la passione per il mare e per la navigazione tra il dire e il fare. “Navigare, pur nella turbolenza, rende la vita più degna di essere vissuta"